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Il comico triste.

  • Katia
  • May 30, 2021
  • 2 min read


Vengano signori, vengano! Benvenuti allo spettacolo più comico del mondo. Qui si ride, si scherza e si balla. Vengano signori, vengano!


Si... ma cosa si nasconde dietro la figura del comico?

Cosa si cela dietro il sorriso dipinto di rosso, il cerone bianco e l'impegno che questa figura mette nel provocare del riso ad una società intera?


Ridere, infatti, secondo Bergson, filosofo francese, è soprattutto una questione sociale poiché nella risata dell'individuo si incarna, in realtà, un'intera società. La figura del comico ha quindi la coscienziosità di provocare il riso e lo fa perché conosce la società in cui si trova, carpisce ciò che inevitabilmente, tramite gesti o parole, recherà divertimento all'individuo.

L'immancabile senso di risata è il frutto di un lungo lavoro da parte del comico, non solo di mimica, ma anche della conoscenza della società stessa. Nella definizione stessa di umorismo ciò è presente.


“L'umorismo è la capacità intellettuale e sottile di rilevare e rappresentare l'aspetto comico della realtà”.


Ma chi è davvero il comico? Tutti noi almeno una volta nella vita ci siamo chiesti se quel determinato attore che a noi ci faceva tanto ridere, in realtà era così anche nella vita reale. Dietro quella maschera da comico cosa c'è? O meglio, chi è in realtà quella persona?


Una delle figure principali della comicità, nell'ambito cinematografico è Robin Williams, abile nell'improvvisazione sia in ruoli drammatici che soprattutto comici, insabbiava il dolore con la comicità. Egli infatti, dietro la sua maschera da comico era un uomo molto triste, tanto da arrivare al suicidio l' 11 agosto del 2014; eppure non perdeva occasione di strappare una risata allo spettatore.

La figura comica per eccellenza del panorama italiano è senza dubbio, Antonio de Curtis, in arte Totò; che, ne il più comico spettacolo del mondo, di Mario Mattoli, recita la preghiera del clown:


“[..] Dacci ancora la forza di far ridere gli uomini, di sopportare sempre le loro assordanti risate e lascia pure che essi ci credano felici. Io ho voglia di piangere e gli uomini si divertono, ma non importa, io li perdono; un po' perché essi non sanno, un po' per amore tuo e un po' perché hanno pagato il biglietto. Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola, ma aiutami a portarla in giro con disinvoltura. C'è tanta gente che si diverte a fare piangere l'umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirli. Manda, se puoi, qualcuno su questo mondo, capace di fa ridere me come io faccio ridere gli altri.”

Totò recita questa “preghiera” tra tanti clown dai sorrisi tristi e dagli occhi sofferenti e lo fa con una malinconia nei gesti e nelle espressioni del viso, che lascia senza fiato. Colpisce chi ascolta e dà un preziosissimo strumento di riflessione, aprendo il sipario su quella che è la vera figura del comico, sulla sua essenza e sulla difficoltà che sostiene nel far divertire gli altri quando egli è triste. Lo stesso Antonio de Curtis è un comico addolorato, un comico dalle movenze tristi, specialmente negli ultimi anni di carriera, movenze che ricordano un pierrot avvilito.

“Io non rido, sorrido. E anche quello, raramente.” Antonio de Curtis, in arte Totò



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