top of page
Search

L’invisibile che diventa visibile, il vuoto nell'arte: dal concetto contemporaneo alla digitalizzazione

  • Katia
  • Apr 24
  • 3 min read

Siamo costantemente circondati da immagini, colori, suoni, una realtà che si trasforma e che ci trasforma. Una casa piena di mobili, cornici, sedie, un televisore. Ma cosa ci evoca lo spazio tra un oggetto e l’altro? Tra il cinguettio di un uccello ed il battito d’ali di una farfalla? Che cos’è la realtà se ciò che vediamo è solo una parte di essa?

Maurice Merleau-Ponty, fenomenologo, ci dice che il visibile è sempre incompleto. Ciò che osserviamo è solo una parte della realtà, il resto, l’intangibile lo sentiamo attraverso il corpo, la memoria, il movimento. La percezione coinvolge quindi tutto quello che non è visibile. In questo senso l’arte si fa oggetto di esplorazione sensoriale, dove l’invisibile non è solo ciò che manca ma quello che emerge quando smettiamo di guardare solo con gli occhi, diventando respiro del vuoto, traccia di un corpo. Diversi artisti infatti scelgono di dare forma a ciò che non vediamo direttamente, adoperando attraverso la sottrazione, lo svuotamento. Yves Klein per esempio cerca di catturare l’assenza, nel 1960 organizzò una mostra “Le vide” il vuoto, appunto, in questa rappresentazione non vi erano quadri, né sculture, ma solo pareti bianche, a voler sottolineare che l’arte non è solo ciò che si guarda, ma soprattutto ciò che si sente. L’immagine esiste proprio perché non si vede e l’immaginazione completa quello che l’occhio non riesce a cogliere.

Il vuoto diventa materia nelle opere di Donald Judd, artista famoso per le sue strutture geometriche precise, in metallo o pexiglass. Lo spazio tra un oggetto e l’altro è presenza materica, quasi tangibile, parte integrante della composizione ed è proprio lì che la mente si interroga. Il vuoto non è mancanza, è la consapevolezza di lasciarsi sopraffare affinché qualcosa di invisibile, che può essere emotivo o mentale, possa emergere.


Untiled, 1967, Donald Judd
Untiled, 1967, Donald Judd

James Turrell invece, quel vuoto lo scolpisce con la luce, creando delle rappresentazioni che si abitano e ci catturano toccandoci profondamente. Ciò che vediamo e ciò che percepiamo è incerto rendendo l’opera d’arte un’esperienza quasi mistica. La luce è intangibile, vuota, ma nelle installazioni di Turrel prende consistenza. L’invisibile è il vero protagonista.


The light inside, 1999, James Turrell
The light inside, 1999, James Turrell

Nella nostra realtà sempre iperconnessa e digitalizzata, quello che non scorgiamo assume nuove forme. Non si limita alla luce o alla materia, ma diventa presenza virtuale. Basti pensare a molte opere d’arte contemporanea che non si manifestano come oggetti fisici, ma come codici, algoritmi. Gli NTF(Non-Fungible Token) hanno introdotto una nuova estetica dell’invisibilità, questi artefatti esistono ma non hanno una forma tangibile, sono una presenza astratta.

L’arte dell’invisibile quindi non chiede di essere compresa ma sentita, ribadisce che non tutto quello che ci circonda si mostra e non tutto ciò che si mostra ci tocca. Spesso è proprio nel vuoto che troviamo lo spazio per pensare, uno spazio intimo, solo nostro. Questo tipo di arte ci invita a guardare meglio, a sentire, ad immaginare. In una società che ci spinge a vedere e a capire tutto, essa ci accoglie e ci insegna il valore di ciò che rimane nascosto e se vogliamo anche di ciò che non viene mai detto. Ci ricorda che a volte l’immagine più potente è quella che facciamo ad occhi chiusi.


"Il vuoto non è assenza, ma la possibilità di ogni cosa."— Jiddu Krishnamurti 


KF

Comments


Post: Blog2_Post

Modulo di iscrizione

Il modulo è stato inviato!

  • Instagram

©2021 by Othala.

bottom of page